Luca 7:1-10
Questa è la storia del servo di un centurione romano gravemente malato.
II centurione aveva “grande stima” di questo servo e ci teneva tanto a lui e certamente aveva consultato i migliori medici e praticato le relative cure consigliate, ma invano. La malattia si era aggravata e l’infermo era ormai in fin di vita.
Conosceva di fama Gesù ma non di persona e quel giorno Gesù stava visitando Capernaum. Il centurione ebbe la buona idea di mandare qualcuno a chiedergli di andare a casa sua a guarire il suo servitore, gli anziani che andati da Gesù fecero opera di intercessione e di raccomandazione (vv. 4, 5).
Gesù s’incamminò con loro verso la casa del centurione, ma non fecero in tempo ad arrivare che altri amici dell’ufficiale romano li raggiunsero e dissero: “Signore, non darti questo incomodo, perché io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto., ma dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito “. Un’altra versione dice “perché io so cosa significa ubbidire alla parola”.
Il centurione fa qui una considerazione dal punto di vista prettamente militare e dice “Io sono un uomo sottoposto alla altrui autorità e ho sotto di me dei soldati, se dico ad uno vai egli va, ad un altro vieni egli viene, e al mio servo fa questo egli lo fa’” nessuna replica, ma soltanto ubbidienza immediata.
Il centurione poteva ottenere una tale ubbidienza alla sua parola per l’autorità che gli veniva conferita dall’imperatore romano. Questo ragionamento lo convinse a credere che Gesù con la sua illimitata autorità poteva comandare alla malattia del suo servo di abbandonare la sua “vittima”.
Certamente era a conoscenza dei miracoli che Gesù faceva: al vento aveva detto calmati e al mare taci, e il vento e il mare avevano ubbidito,( Marco 4:39,41). Allo spirito immondo: esci da costui e al morto nel sepolcro, vieni fuori. Al paralitico: alzati e camminaecc. nessuna parola uscita dalla sua bocca era stata disattesa. Al centro del racconto c’è comunque la Parola di Dio. Anche nel Salmo 107:19,20 è scritto: “nell’angoscia gridarono al Signore ed egli li liberò, mandò la sua parola, li guarì li salvò dalla morte” e in Isaia 55:11: “così dice il Signore: così è della mia parola, uscita dalla mia bocca: essa non torna a me a vuoto, senza aver compiuto ciò che io voglio e condotto a buon fine ciò per cui l’ho mandata”.
Ma per operare a favore di qualcuno viene richiesto un altro elemento: la fede del ricevente. Il centurione ha dimostrò di averla in misura grande, tanto da meravigliare lo stesso Gesù, (v. 9).
Se i soldati del centurione romano erano così pronti all’ubbidienza e sottomessi all’autorità del loro superiore, quanto più noi che serviamo uno di gran lunga superiore in grandezza e potenza, dobbiamo essere pronti ubbidienti e sottomessi alla sua volontà; anche noi siamo soldati di Cristo e a lui dobbiamo ubbidire.
Può il nostro Grande Centurione dire la stessa cosa che il centurione romano disse dei suoi soldati? Anche Gesù era “l’uomo sottoposto”, perciò diceva “io faccio del continuo la volontà di colui che mi ha mandato, il Padre ama il figlio e gli ha dato ogni autorità a compiere le opere” . Dal soldato si richiede: obbedienza, fedeltà, disciplina, ordine, dedizione alla patria, rinuncia anche a se stesso, preparazione, vigilanza per fronteggiare il nemico. (Efesini 6:10 – 18). Nessuno che va alla guerra s’immischia in cose che lo distraggono dal compiere il proprio dovere. Quando Neemia costruiva le mura di Gerusalemme. Samballat e Ghesem, nemici invidiosi, gli mandarono a dire: ” Vieni, troviamoci assieme in uno dei villaggi della valle di Ono… io mandai dei messaggeri per dire: io sto facendo un gran lavoro, e non posso scendere. Il lavoro rimarrebbe sospeso se io lo lasciassi per scendere da voi” (Neemia 6:1 – 4)
Quando Gesù udì l’affermazione del centurione “ma dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito” rimase meravigliato e gli disse: “va e ti sia fatto come hai creduto. Il servitore fu guarito in quella stessa ora. “.
FRANCESCO RAUTI